Casino…è

Gigliola Di Piazza è stata una fotografa di origini carniche che opera prevalentemente a Milano lavorando come reporter, in particolare per il Corriere della Sera.
Casino …è potrebbe rappresentare una frattura all’interno della sua intensa produzione, ma non è così. Professionista impegnata su più tematiche, si interessa a varie problematiche sociali e artistiche, fino alla produzione di cartoline a tema floreale e piccole stampe, probabilmente a contatto, parzialmente dipinte a mano.
In questa mostra ci propone un’opera fotografica articolata in sequenze con un linguaggio tendente a fondere il documento, l’indagine e la sperimentazione artistica.
È una riflessione su un aspetto che nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento ha costituito un vero fenomeno sociale: quello delle famigerate case chiuse o bordelli.
Analizza, attraverso l’obiettivo, gli ambienti, gli oggetti d’arredo e quelli inerenti al mestiere più antico del mondo, fotografa i cataloghi, le immagini promozionali della merce umana da proporre ai clienti. Con l’aiuto di una modella ricostruisce alcuni cliché tipici della donna di mestiere, ma anche momenti di intimità personale e di dialogo confidenziale tra le ospitanti.
Le immagini sono state realizzate in parte in ambienti d’epoca rimasti intatti nei quali, con inquadrature che rievocano a volte uno still life morandiano, è attenta a suggerire l’atmosfera d’epoca mediante la scelta di una luce soffusa o tinte in seppia delle stampe.
Declina il linguaggio fotografico in chiave artistica, escogitando soluzioni espressive che per un verso rimandano a colti antecedenti storici quali le immagini sulla sperimentazione del colore di Madame Yevonde, sulle pose dinamiche di André Kértész (donna sul divano), a quelle più statiche delle polaroid di Carlo Mollino (donna inginocchiata di schiena), o a Storyville di Bellocq (la ragazza con mascherina).
Le solarizzazioni che spuntano qua e là, le sovrapposizioni di bianconero e colore, gli interventi cosiddetti pittorici, hanno uno scopo: riproporre il fascino, gli stimoli dell’immaginario legato all’evasione erotica da sperimentare nella casa chiusa e attraverso le fotografie stesse.
Le immagini create dalla Di Piazza rievocano in parte gli stilemi classici della produzione dei cataloghi e del vasto repertorio delle cartoline dell’epoca. Un florido mercato dove si fondevano glamour, erotismo e tanti sconfinamenti nel pornografico. Pochi fotografi griffavano infatti le immagini di glamour, nessuno le altre.
La sigaretta, il sapore deciso del tabacco, è un chiaro simbolo di richiamo erotico prontamente sfruttato in fotografia sin dagli inizi della sua storia ma rappresenta altresì un segno dell’emancipazione femminile.
La Di Piazza riprende la sua modella con la sigaretta nei momenti di relax, mentre è nelle vesti della ospitante che legge una lettera oppure si trucca e vede moltiplicarsi la sua immagine nello specchio, quasi a mimare le varie espressioni che la donna deve interpretare nell’arco della giornata con i clienti.
Lo specchio è un elemento ricorrente, ma la trasposizione figurativa del mito di Narciso è rivolta all'esterno: la bellezza diviene metafora di seduzione, di fantasticherie erotiche per chi guarda la foto.
Sono immagini emblematiche frutto della commistione tra realizzazione formale di matrice realistica e sottofondo culturale di ispirazione simbolista, dove l'idealizzazione del corpo è sostenuta dai rimandi classicheggianti e dalle allegorie della tradizione pittorica.
Sono fotografie che richiamano alla memoria anche un altro grave aspetto sociosanitario: Una delle 'malattie del secolo' era la sifilide. Nelle immagini in mostra non sfugge la descrizione di quanto concerne l’igiene, sicuramente l’aspetto più delicato di tale ambiente.
Gigliola Di Piazza produce fotografie pensate e studiate esteticamente per restituire il clima di un’epoca reso mediante accorgimenti tecnici tendenti ad esasperare certi contrasti, mescolando colore e bianconero, tonalità pastello con pennellate robuste, a volte intercalando viraggi dal sapore antico.
Ci invita a una rilettura più cosciente su un mondo apparentemente banale ma che nasconde complessità socio-esistenziali non indifferenti.

Vincenzo Marzocchini

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